- Una persona nata e cresciuta in Puglia;
- Un bimbo affascinato dalla tecnologia che (come tanti altri geek) negli anni è diventato un consulente informatico;
- Un innamorato delle discipline orientali, da sempre studente di arti marziali e, da una ventina d’anni, insegnante di Wing Chun Gung Fu;
- Un amante degli animali;
- Un “fotografo”, con le virgolette perché con la Fotografia mi capita anche di lavorarci, ma è prevalentemente una passione;
- Un nerd, forse atipico ma è inutile mentire: il mio portachiavi è un Millennium Falcon, ho l’ottimismo di Parappa-the-rapper e quando sono teso fischietto la marcia imperiale;
- Un blogger? Di fatto sì, alle spalle ho più anni di vita con un blog che senza, in realtà è che semplicemente mi è sempre piaciuto condividere e, soprattutto, scrivere mi rilassa.
- Un professionista attivo nei settori del Digital Marketing e dell’Information Technology.
- Un mix di cose che ovviamente non si possono scrivere qui.
E “Kensho”?
Kensho è tecnicamente l’unione di due parole in Giapponese: ken (“vista/vedere”) e shō (“natura/essenza”), che sono un “prestito linguistico” (“loanword”) da una traduzione già effettuata in Cinese (con il termine “jianxing”, ovvero “jian” e “xing”, “vedere/percepire” ed “essenza/natura”) da due parole in Sanscrito: rispettivamente “dṛṣṭi” e “svabhāva” (e direi che ci fermiamo qui.)
I significati di Kensho sono qualcosa in cui è facile perdersi, per i quali uno studio filosofico o l’avvicinamento alla dottrina buddista sarebbero molto più indicati di questo blog che, di fatto, è poco più di un crogiolo di pensieri, peraltro alimentato senza scadenze, ogni qual volta mi vien voglia di scrivere.
Nella sua trascrizione più semplice, Kensho, è l’osservare la natura di qualcuno.
Nei dintorni del mondo buddista e dello “Zen” (dal Cinese “Chán”; dal Sanscrito “dhyāna”, ovvero “vista”), ho avuto a che fare parecchie volte con il termine e con l’idea di Kensho, tanto che mi ci sono affezionato ed è diventato di fatto un nickname.